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La ragazza che cadde in fondo al mare

Recensione del libro di Axie Oh, pubblicato da Oscar Mondadori. Alla fine trovate anche dei consigli di lettura.

È proprio tipico degli umani pensare che il mondo giri intorno a voi, che i fiumi siano per voi, il cielo, il mare, tutto solo per voi. Ma non è così: gli esseri umani sono solo una delle molte parti che compongono il mondo e, se vuoi sapere come la penso, voi siete la causa di sventura per tutte le altre.

Questo libro mi è piaciuto e non so perché. I difetti sono molteplici e ho dovuto rifletterci parecchio per capire cosa c’era da salvare, se c’era qualcosa. Fondamentale, secondo me, è partire con zero o molto basse aspettative perché questo libro non è di certo un capolavoro, non ci si avvicina neanche lontanamente, ma questo non vuol dire che sia brutto. Ma cerchiamo di andare con ordine.
La ragazza che cadde in fondo al mare è un retelling di una leggenda coreana, in stile molto fiabesco: la storia è il fulcro, i personaggi sono piuttosto stereotipati, alla fine c’è una morale che fa da fil rouge al libro. Essendo plot-driven, non sorprende che i personaggi non ne escano al meglio: ognuno ha proprio ruolo all’interno della storia e da tale non si discostano. L’autrice prova a dare profondità ad alcuni di loro, con qualche accenno ai diversi background e passati, troppo superficialmente perché abbia successo ma in grado di farmi affezionare quel tanto che basta per voler sapere cosa succede poi. Shin, Namgi e Kirin hanno molto potenziale, mi ricordano molto Rhys, Cassian e Aziel (ACOTAR), coincidono praticamente alla perfezione, ma molto meno caratterizzati e non scritti altrettanto bene. Lo stesso vale per Mina: protagonista piuttosto stereotipata, che non brilla per niente in particolare se non per la sua bontà ed è così che salverà il mondo. La storia la seguiamo dal suo punto di vista, quindi riesce ad avere una caratterizzazione migliore degli altri ma risulta un personaggio troppo banale, difficile da apprezzare.
La trama è l’altro elemento, oltre che il principale, che spinge a continuare la lettura: seppur non si tratti di misteri particolarmente intricati o di colpi di scena epocali, l’intreccio è intrigante quanto basta. In particolare ho molto apprezzato l’analisi del rapporto tra déi e umani, da entrambi i punti di vista, e mi sarebbe piaciuto che avesse un ruolo maggiore nello sviluppo e soprattutto conclusione della storia. Il vero difetto, infatti, lo si riscontra nel worldbuilding e, soprattutto, nel finale. Il primo è (giustamente) molto semplice e abbozzato, ma è un problema dal momento che non aiuta a comprendere la storia e i suoi sviluppi: troppe cose sono lasciate al caso o senza nessun tipo di spiegazione al punto che gli eventi iniziano a farsi privi di logica e poco chiari. E questo si nota particolarmente nel finale perché invece di avere tutte le risposte di cui si ha bisogno, ci si ritrova davanti una conclusione affrettata e piuttosto confusa della storia. In ogni caso la lettura riesce a risultare piacevole e piuttosto scorrevole, grazie anche allo stile di scrittura molto semplice e diretto. Mi hanno fatto un po’ storcere il naso i dialoghi, soprattutto (di nuovo) sul finale ma non solo: molto poco realistici, sembravano sempre forzati, non naturali.

Per apprezzare questo libro bisogna partire con delle aspettative molto basse o pari a zero. Non è un brutto libro, anche se non mancano i difetti: è quasi una fiaba con una trama un pelo più complessa, poco worldbuilding, personaggi stereotipati e abbastanza piatti ma amabili. Sono stati proprio i personaggi (Shin e Namgi in particolare) e la curiosità di sapere come andava a finire che mi hanno spinto a proseguire la lettura e l’hanno anche resa piacevole e leggera.

Voto: 6/10

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La ragazza che cadde in fondo al mare

di Axie Oh

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