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Le sabbie di Arawiya

Recensione della dilogia di Hafsah Faizal, edita da Oscar Mondadori. Alla fine trovate anche dei consigli di lettura!

La gente continuava a vivere perché lei uccideva.

La gente moriva perché lui viveva.

Su questa dilogia avevo delle aspettative medio alte perché ne avevo sentito parlare molto bene, la storia sembrava super interessante e l’ambientazione ispirata alla cultura araba mi chiamava a gran voce dopo aver letto e adorato la trilogia di Daevabad. Che poi era anche il motivo per cui erano medio alte e non solo alte, sapevo che il confronto sarebbe stato inevitabile. Ma le ha mantenute o no ste aspettative? Direi ni. Alcuni elementi mi hanno conquistata, altri lasciata perplessa, altri ancora li ho trovati superflui o da migliorare. Ma, al solito, andiamo con ordine.
Veniamo catapultati nel mezzo della storia, al punto che i primi capitoli sono un po’ confusionari che può anche andare bene, è una delle tante e diverse tecniche di narrazione, ma invece di scoprire mano a mano cosa sta succedendo, dove e perché, la parte introduttiva arriva semplicemente dopo qualche capitolo. Non si parte molto bene: la confusione iniziale provocata volontariamente dall’autrice nelle prime pagine perde senso e ragione di esistere nel momento in cui la narrazione rallenta e viene introdotto il mondo e le sue regole. Se già questo passaggio contraddittorio non facilita l’immersione nella storia, l’uso ripetuto e, a mio parere, eccessivo di termini arabi complica ancora di più la lettura. All’inizio stavo apprezzando questo elemento, molto caratterizzante, che dà quel tocco in più all’ambientazione, poi però la situazione è un po’ degenerata. Mi spiego: l’autrice non utilizza solo una terminologia culturalmente appropriata, ma anche parole arabe nei dialoghi, imprecazioni, incitazioni ecc. Ovviamente a fine libro c’è un glossario con tutte i termini utilizzati, ma la frequenza era così alta che mi stavo stufando a fare avanti e indietro tra le pagine. Inoltre, questo utilizzo così frequente rovinava un po’ l’effetto: le parole sembravano buttate lì, giusto per sottolineare ancora e ancora e ancora l’ispirazione araba del mondo di Arawiya. Certo, verso fine libro ci si fa l’abitudine e già nel secondo questo elemento è molto meno fastidioso, però cavoli che fatica! Nessuno di questi problemi, in realtà, si pone una volta arrivati al secondo libro: la storia è già stata delineata in quello precedente, lo stesso per il grosso del worldbuilding, di conseguenza la lettura è certamente più scorrevole e meno problematica. Ma veniamo al punto, ovvero la storia. Una volta superati questi problemi, la trama è intrigante, forse non molto originale. La vita di Zafira mi ha ricordato tantisssssimo quella di Katniss: ha perso il padre non per morte naturale, la madre da allora non è più la stessa, la sorellina dolce e tenera che farà di tutto per proteggere ed è pure brava a curare, l’amico di infanzia innamorato di lei, è una cacciatrice, l’unica coraggiosa abbastanza da andare nella foresta, e così provvede alla sua famiglia e al villaggio, chi è al potere non vede di buon occhio quello che fa, potrei andare avanti ancora per molto. A parte quest’incredibile somiglianza, il resto della storia è ben fatto, qualche piccola caduta di stile su alcuni colpi di scena, un po’ troppo alla Beautiful, però niente di insopportabile. Ho anche molto apprezzato il doppio punto di vista, Zafira e Nasir, anche se dal momento in cui passano tutto il loro tempo insieme diventa un po’ fastidioso il continuo passaggio dall’uno all’altra, comprensibile comunque, non è facile da gestire al meglio. Nel secondo libro, la situazione migliora per diversi motivi: si alterna un terzo personaggio, i pensieri e le emozioni di Zafira e Nasir sono molto più importanti rispetto al primo, e altri che non posso dire per non fare spoiler.
Il worldbuilding è strettamente legato alla storia, ma se quest’ultima è perfettamente adatta ad una dilogia, avrei preferito che esso avesse più spazio, soprattutto nel secondo libro (e parliamo comunque di 600 e passa pagine!). In Catturiamo la Fiamma il worldbuilding è come dovrebbe essere: abbiamo tutte le informazioni necessarie per capire cosa succede, perché e come succede. Mentre in Liberiamo le stelle avrei voluto qualche spiegazione in più sul funzionamento della magia e su altri elementi, dato che la situazione si è molto complicata e delle descrizioni più dirette e lineari avrebbero permesso di seguire meglio gli sviluppi della storia. Così, invece, alcuni passaggi li ho trovati un po’ confusionari, vaghi e poco chiari.
Ma veniamo al vero punto di forza di questi libri, i personaggi. Al solito, i protagonisti con il loro punto di vista sono i meglio caratterizzati, ma anche quelli secondari riescono ad emergere altrettanto vividamente. I personaggi salvano dall’oblio questa dilogia, arricchendola di millemila sfumature. Abbiamo l’eroina piuttosto classica, forte e indipendente, in costante lotta con la società in cui vive per il suo essere donna, elemento che è stato trattato abbastanza bene nel corso della storia, anche se ogni tanto finiva mooolto sullo sfondo, quasi da dimenticarsi che c’era. Comunque abbastanza classicamente, invece, si ritrova coinvolta nella guerra per salvare il suo mondo e, di conseguenza, a questionare i suoi valori che pensava solidi e immutabili. Ma c’è anche l’anti-eroe, costretto ad uccidere su ordine del sultano suo padre, resta folgorato dalla vista della cacciatrice e, da lì, inizierà un percorso evolutivo che terminerà insieme alla storia. Per entrambi, l’evoluzione è coerente, ben descritta ed estremamente vivida e realistica: senza quasi accorgersene, ǝ lettorǝ si trova accanto a Zafira e Nasir e li segue passo passo nelle loro avventure e disavventure. Ho apprezzato un po’ meno, invece, le dinamiche tra i vari personaggi. Siamo davanti alla classica found family, ma la creazione dei legami tra i componenti è estremamente veloce: stavo ancora imparando a distinguerli, a capire i vari ruoli e vite e questi sembravano già amici per la vita e via dicendo. Oltretutto, le poche volte in cui, sia nel primo che nel secondo libro, l’autrice cerca di costruire più approfonditamente i vari rapporti risulta tutto un po’ contraddittorio e fuori luogo. A questo proposito, la storia d’amore mi ha fatto impazzire e non in senso positivo. Allora, prima di tutto è di nuovo insta love (bastaaaa vi prego!), ma ci posso passare sopra considerato l’approfondimento di sentimenti ed emozioni fatto su entrambi i coinvolti. Il vero problema è che non c’è un motivo vero e proprio per cui sti due deficienti non possono stare insieme fin da subito, il nulla totale, vuoto cosmico. Va bene lo slow burn, ma che abbia senso cavoli! Se l’unica cosa che impedisce ai due di stare insieme è la loro incapacità di comunicare non possono metterci così tanto per arrivare al dunque, dai su. Sproloqui a parte, almeno si amano per un motivo spiegato e approfondito, e non per un colpo di fulmine e fine della storia e in sostanza sì, mi ci sono comunque affezionata a sti due scemi.

Nonostante non le manchino i difetti, questa dilogia mi è piaciuta. La storia è intrigante, anche se forse poco originale, e la lettura abbastanza scorrevole. Il worldbuilding è ben fatto più nel primo che nel secondo libro, dove avrei preferito qualche spiegazione in più. Ma sono stati i personaggi a conquistarmi: ottima caratterizzazione ed evoluzione, realistici e per niente stereotipati, sembrava di essere lì con loro a vivere avventure e disavventure.

Voto: 8/10

Catturiamo la Fiamma

di Hafsah Faizal

Editore: Oscar Mondadori – Collana: Fantastica

Pagine: 504

Zafira è il Cacciatore: vestita da uomo, si procaccia il cibo perché la sua gente non muoia di fame nella foresta maledetta dell’Arz. Nasir è il Principe della Morte, incaricato di uccidere chiunque sia tanto folle da sfidare suo padre, il dispotico sultano. Se qualcuno scoprisse che Zafira è una ragazza, tutto ciò che ha guadagnato andrebbe perduto; se Nasir dovesse dimostrare compassione, suo padre lo punirebbe nel modo più feroce. Entrambi sono leggende nel regno di Arawiya. Loro malgrado.

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Editore: Oscar Mondadori – Collana: Fantastica

Pagine: 448

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Quando però la sua strada si incrocia accidentalmente con quella di Dara, un misterioso jinn guerriero, la ragazza deve rivedere le sue convinzioni. Costretta a fuggire dal Cairo, insieme a Dara attraversa sabbie calde e spazzate dal vento che pullulano di creature di fuoco, fiumi in cui dormono i mitici marid, rovine di città un tempo maestose e montagne popolate di uccelli rapaci che non sono ciò che sembrano. Oltre tutto ciò si trova Daevabad, la leggendaria città di ottone. Nahri non lo sa ancora, ma il suo destino è indissolubilmente legato a quello di Daevabad, una città in cui, all’interno di mura metalliche intrise di incantesimi, il sangue può essere pericoloso come la più potente magia. Dietro le Porte delle sei tribù di jinn, vecchi risentimenti ribollono in profondità e attendono solo di poter emergere. L’arrivo di Nahri in questo mondo rischia di scatenare una guerra che era stata tenuta a freno per molti secoli.

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