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Sevenwaters

Recensione della serie di Juliet Marillier, pubblicata da Oscar Mondadori.

La figlia della foresta

Una favola può iniziare in molti modi e può essere molte favole in una, ognuna delle quali altro non è che un diverso modo per raccontare la stessa storia.

Forse l’elemento migliore del libro è proprio l’atmosfera fiabesca, ben bilanciata e estremamente immersiva. La scelta dell’autrice di ambientare questo retelling della fiaba I sei cigni dei fratelli Grimm nell’Irlanda medievale è più che vincente: il luogo si adatta alla perfezione alla storia e contribuisce a creare quell’atmosfera magica e misteriosa che citavo prima. Questo per dire di non aspettarvi un tipico fantasy con ambientazioni inventate, worldbuilding dettagliato, prescelti ecc., ma al contrario una favola riaddattata ad un pubblico adulto, con tematiche più mature del semplice bene vs male o morali retoriche tipiche del genere, personaggi approfonditi, che maturano nel corso della storia, e una trama più intricata e complessa di una classica fiaba. Ma cerchiamo di andare con ordine, come al solito.
La trama ripercorre fedelmente quella della fiaba originale, con però l’aggiunta di complicazioni e ostacoli che come dicevo la rendono più complessa ma anche più intrigante e coinvolgente. Grazie all’ambientazione reale e storica, l’autrice introduce anche l’elemento della guerra tra irlandesi e britanni, e l’odio profondo e generazionale che li separa, entrambi elementi che influiscono molto nello sviluppo della storia di Sorha e dei suoi fratelli. Questa maggiore complessità è il motivo principale della lunghezza del libro e parzialmente anche del ritmo della narrazione. Infatti, la prima parte è molto introduttiva con Sorha che ci racconta in prima persona la sua infanzia, la storia della sua famiglia, e il mondo in cui vive; anche una volta che si entra nel vivo della storia il ritmo non è mai incalzante, se non forse proprio sul finale, ma risulta una scelta voluta e molto ben gestita: l’autrice si prende tutto il tempo per presentare l’ambientazione e caratterizzare al meglio i personaggi.
Arriviamo proprio ai personaggi, uno degli elementi migliori del libro. La loro caratterizzazione e sviluppo sono praticamente perfetti, tutti molto approfonditi, con un’evoluzione coerente sia come percorso sia per il contesto della storia. Il rapporto tra Sorha e i suoi fratelli è forse il più interessante, anche più della relazione amorosa: sono molto uniti, si supportano e capiscono a vicenda come nessun’altro è in grado; ma è l’enorme sacrificio di Sorha per salvarli, con tutto quello che comporta, che rende così interessante il loro rapporto e il personaggio di lei, in particolare. L’unica cosa che mi ha infastidito, ma che riconosco essere dovuta al contesto storico (X secolo), è quanto poco i fratelli tengano in considerazione l’opinione e le scelte di Sorha, e soprattutto il fatto che lei raramente si imponga o li affronti quando ciò avviene. Quest’ultimo aspetto, inoltre, si scontra un po’ con la personalità forte e indipendente con cui più volte ci viene presentata Sorha. Senza nulla di queste piccole contraddizioni è invece la storia d’amore, che direi ampiamente approvata: non prende mai il sopravvento, non è troppo sdolcinata, non è troppo insta love (almeno non per entrambi), ha un suo perché e una sua profondità, che non è scontato parlando di fiabe. Ho storto il naso soltanto verso la fine, con l’introduzione del triangolo: non tanto per il trope in sé, ma perché sembra buttato lì, non ha vere e proprie conseguenze e rende solo molto più triste il destino di due personaggi in particolare.
Come accennavo prima, il worldbuilding è solamente abbozzato: si intuisce l’esistenza di un popolo fatato non meglio definito, della magia e di poteri vari, ma niente di tutto questo viene spiegato o approfondito, è così perché sì. Per quanto strano possa sembrare, funziona molto bene per la storia perché lascia intatta l’atmosfera fiabesca del libro. Questo è molto importante, perché bilancia perfettamente le parti più crude e realistiche che avrebbero reso il tutto troppo cupo: in questo modo, invece, si crea un contrasto tra i due toni diversi, mantenuti in perfetto equilibrio quasi sempre. Il finale, infatti, è un pelo troppo fiabesco per i miei gusti, un po’ in contrasto con questo equilibrio e allo stesso tempo coerente con l’atmosfera del libro e della fiaba originale.
Ultima considerazione sulla scrittura: lo stile compensa il ritmo lento della narrazione, rendendo il tutto maggiormente scorrevole; le descrizioni sono estremamente vivide e dettagliate, senza cadere nel prolisso. La storia è raccontata in prima persona al passato e mi ha sorpreso in positivo quanto bene sia stato gestito quest’aspetto: si crea facile immedesimazione con la protagonista, lascia piccoli flashforward qua e là, perfetti per mantenere alta la curiosità.

La figlia della foresta è come dovrebbe essere il retelling di una fiaba: l’autrice crea un riadattamento della storia originale I sei cigni, ma in un contesto diverso, con una maggiore complessità di trama e profondità di tematiche. L’ambientazione nell’Irlanda medievale è stata una scelta più che vincente: immersiva, perfetta per mantenere un’atmosfera di mistero e magia, fiabesca. Il worldbuilding è solamente abbozzato in perfetto stile fiaba, mentre ci guadagnano in caratterizzazione e profondità i personaggi.

Voto: 8.5/10

La figlia della foresta

di Juliet Marillier

Editore: Oscar Mondadori – Collana: Fantastica

Pagine: 636

Nell’Irlanda del X secolo, sospesa tra mito e storia, vive Lord Colum di Seven­waters con i suoi sette figli, sei ragazzi e una bambina, Sorha. Sarà proprio lei, la più piccola della famiglia, a proteggere la casata e difendere la loro terra dai nemici britanni: il padre, infatti, è stato stregato da Lady Oonagh e i fratelli sono stati colpiti da un incantesimo che solo la ragazza potrà sciogliere. Per riuscirci, dovrà sostenere un lungo esilio da Sevenwaters e affrontare imprese durissime, che la feriranno nel corpo e nell’anima. E quando si troverà prigioniera degli avversari, la sua stessa vita – insieme a quella di coloro che ama – sarà in pericolo. Sorha conoscerà la paura, il tradimento, ma anche l’onore, la lealtà. E soprattutto l’amore.

Il figlio delle ombre

Cos’ero se non una donna indifesa in un mondo di uomini sconsiderati?

Nuovo libro, nuova generazione di Sevenwaters. Infatti, Il figlio delle ombre segue le vicende dei figli di Sorha e Red, sempre però raccontate da un unico punto di vista, in prima persona: Liadan, gemella di Sean, e sorella minore di Niamh. All’inizio mi ha fatto un po’ storcere il naso perché appariva fin troppo simile a Sorha, ben oltre lo spiegabile dal loro legame di sangue. Conoscendola meglio, emergono le differenze: Liadan è più sfrontata della madre, il forte senso di indipendenza che le unisce fuoriesce maggiormente nella figlia che si fa rispettare di più di quanto facesse Sorha, si oppone alle decisioni che le vengono imposte e tira dritto per la sua strada; Sorha sceglieva quali battaglie affrontare e lo faceva in maniera decisa e pacata. Rispetto a La figlia della foresta, il rapporto tra i fratelli è molto poco centrale, anche perché non altrettanto profondo e più debole. Infatti, sia Sean che Niamh rimangono sullo sfondo, ma comunque risultano abbastanza ben caratterizzati. Sean, come la gemella, mostra appieno l’influenza del carattere forte e irruento del padre, controbilanciato dall’educazione dello zio Liam, più calmo e riflessivo, invece che dall’influenza di Sorha come per Liadan. Niamh risulta fin da subito antipatica: egocentrica, frivola, viziata e superficiale, perfettamente conscia della sua bellezza non si fa a problemi a deridere la sorellina per il suo aspetto più “banale”; il suo passaggio a povera vittima non riesce ad essere di impatto quanto dovrebbe proprio perché fino a poco prima era insopportabile.
Nonstante non si empatizzi facilmente, se non per niente, con Niamh, l’abuso che subisce è presentato in maniera realistica senza essere cruda o violenta. In generale, l’autrice gestisce sempre molto bene le varie tematiche del libro, sia quelle più delicate che meno: non cade in retoriche facili sulla questione femminile, ma presenta la situazione storica com’è e cerca di dare dignità alle sue protagoniste, senza anacronie e, soprattutto, senza dipingere gli uomini come tutti maiali ecc. Inoltre, qui l’atmosfera è molto meno fiabesca perché si è perso l’elemento retelling, rimane quel qualcosa di magico e misterioso con il Popolo Fatato & co. ma non così prevaricante come nel primo romanzo: infatti, l’autrice riesce ad esplorare maggiormente varie tematiche allontanandosi un po’ dalla struttura fiabesca della singola morale.
Ma veniamo al motivo per cui questo secondo libro mi ha convinto un poco meno del primo. La storia d’amore è decisamente più forzata, anche se ho apprezzato molto gli scambi tra i due, l’insta love resta comunque piuttosto fastidioso: manca quella profondità che aveva il rapporto tra Sorha e Red; inoltre la dinamica tra i due ricorda moltissimo proprio gli inizi dei genitori di Liadan. Questa forzatura crea problemi a livello di trama e alcuni comportamenti dei personaggi risultano illogici e incoerenti. La storia traballa in due punti: la parte centrale e il finale. La rottura della situazione idilliaca all’inizio avviene troppo presto e si risolve piuttosto in fretta, così che la parte centrale del libro è estremamente lenta e priva di eventi di una qualche importanza. Quando le cose iniziano a muoversi restano però poche pagine perché il finale possa svilupparsi a dovere e infatti molte cose risultano affrettate o troppo facili. Anche il trauma dell’interesse amoroso di Liadan è un po’ forzato: un susseguirsi di sfighe che poco spiegano alcune sue convinzioni, insomma risulta tirato e raffazzonato alla buona. In generale, i plot twist e colpi di scena vari non mi sono sembrati gestiti al meglio: se non sono forzati, sono estremamente prevedibili.

Questo secondo libro mi ha convinto un filo meno del primo: la trama traballa qua e là e spesso risulta forzata; la storia d’amore, anche se coinvolgente, è fastidiosamente insta love. Tolte queste due cose, restano comunque degli ottimi personaggi, tematiche gestite al meglio e una scrittura vivida ed evocativa che fa immergere completamente nelle atmosfere magiche del romanzo.

Voto: 8/10

Il figlio delle ombre

di Juliet Marillier

Editore: Oscar Mondadori – Collana: Fantastica

Pagine: 624

Sorha è riuscita a rompere l’incantesimo che imprigionava i suoi fratelli nei corpi di cigni e, con il suo amore, ha sconfitto generazioni di odio e unito due culture. Grazie al suo coraggio e al suo sacrificio, la pace e la gioia sono tornate a Sevenwaters. Ma dopo anni di relativa tranquillità, nuove ombre vanno addensandosi sull’Irlanda del Nord e sui figli di Sorha: la primogenita Niamh deve piegarsi a un matrimonio di convenienza e, mentre il giovane Sean si appresta a ereditare il titolo, spetterà alla sua gemella Liadan – che ha preso dalla madre il dono della Vista e le doti di guaritrice – compiere il destino della famiglia di Sevenwaters. Per farlo dovrà intraprendere un viaggio alla scoperta di un mondo che sa essere tanto meraviglioso quanto oscuro e crudele. Un’esperienza che la cambierà per sempre, insegnandole a quale prezzo è stata conquistata la serenità che ha sempre conosciuto. Tra insidie e dilemmi, Liadan avrà bisogno di tutta la sua forza per fronteggiare proprio coloro che ama di più. Perché la sua ricerca del vero amore potrebbe essere per tutti loro una condanna o la salvezza.

Il figlio della profezia

Nelle mie vene scorreva il sangue di una discendenza maledetta, una stirpe di maghi ed esiliati. Sembrava che non potessi fare nulla al proposito: l’eredità di quella discendenza si sarebbe manifestata sempre e comunque. I miei passi, dunque, non erano inevitabilmente destinati verso l’oscurità?

Questa trilogia purtroppo non è stata un crescendo, o meglio le protagoniste sono diventate di volta in volta più interessanti, la trama invece sempre più debole. Fainne è un personaggio totalmente diverso da Sorha e Liadan: una ragazzina in cerca della propria identità, molto ingenua ma con una volontà paurosamente forte e poteri magici fuori dal comune (anche per la famiglia di Sevenwaters). La sua lotta interiore è probabilmente il motivo principale per cui ho proseguito la lettura: la sua evoluzione, la scoperta di sé e di poter controllare il proprio destino, sono oltre che estramemente ben fatte, molto realistiche e per questo anche coinvolgenti.
Peccato che la storia, invece, non lo sia. È piena di forzature, molte di più che nel secondo libro e anche molto più influenti nello sviluppo degli eventi: tutto ruota intorno ad un piano malvagio della nonna di Fainne, ma non è mai spiegato né è chiaro perché debba essere proprio lei a compiere la vendetta e non la diretta interessata, sua nonna; si crea proprio un effetto contrastante tra il potere immenso che dovrebbe avere Lady Oonagh, addirittura ci viene mostrato più volte che ce l’ha, e la logica del piano per cui non può scontrarsi con i suoi vecchi nemici e deve occuparsene Fainne. Essendo che tutto il libro gira intorno a questo piano, l’effetto non può che essere domino e tutto risulta molto forzato e poco credibile.
Ne risente un filo anche il worldbuilding, anche se non eccessivamente: è il primo libro in cui c’è un vero e proprio approfondimento sulla magia, come funziona, il Popolo Fatato e gli Antichi Spiriti quindi riesce a mantenere una certa coerenza anche con quel poco che sappiamo dai libri precedenti. Questo maggior approfondimento permette di ottenere un finale della macro storia (quella che lega i tre romanzi) abbastanza soddisfacente: infatti, si raggiunge una degna conclusione della serie, con le varie cose lasciate in sospeso che trovano risposta e si chiariscono alcuni aspetti rimasti dubbi negli altri due libri (per capirci, il destino di Lady Oonagh era stato troppo vago alla fine di La figlia della foresta). Il vero problema, se così lo si può definire, del worldbuilding è che ampliando le conoscenze si (ri)crea quell’atmosfera fiabesca del primo libro che però si scontra, un po’ troppo per i miei gusti, con l’evoluzione della trama, sempre più realistica e poco fantastica.
Stesso discorso per la storia d’amore che, come le precedenti, ha delle caratteristiche da favola, sia nello sviluppo che nella caratterizzazione dell’interesse amoroso. Considerato il contesto estremamente diverso in cui si muove Fainne, sembra quasi fuori luogo per quanto è sdolcinata e zuccherosa. A tal proposito, il personaggio di Darragh proprio non mi ha convinto: per quanto ben caratterizzato lascia l’impressione di non avere molto spessore, di essere lì e di esistere solo in funzione di Fainne.
Non mi dilungo, invece, su scrittura e ambientazione: sempre ottime come per i libri precedenti.

Se dovessi riassumere questo libro direi che ha la protagonista più interessante della trilogia, ma purtroppo anche la trama più debole. L’ottima caratterizzazione di Fainne non riesce a contrastare le numerose forzature della storia. Il worldbuilding riesce a risollevare le sorti del romanzo: grazie al maggior approfondimento, permette di ottenere un finale di trilogia grossomodo coerente e soddisfacente. Sempre ottime l’ambientazione e la scrittura: immersiva la prima e scorrevole ed evocativa la seconda.

Voto: 7/10

Il figlio della profezia

di Juliet Marillier

Editore: Oscar Mondadori – Collana: Fantastica

Pagine: 684

La magia sta svanendo, l’umanità sembra voler bandire gli Antichi Spiriti dal suo destino, respingendoli sempre più a occidente, oltre ogni luogo conosciuto. Se nessuno interviene, l’Irlanda rischia di perdere le sue radici mistiche.
Profezie perdute nella notte dei tempi hanno già previsto tutto questo, e hanno indicato la via per evitarlo: per essere salvati gli spiriti della terra di Erin devono guardare al clan di Sevenwaters, una famiglia legata alla linfa vitale della terra, che ha giurato di preservare la magia, pagando la promessa con grande gioia e grande dolore.
Spetterà a Fainne, figlia di Niamh, la perduta sorella di Sevenwaters, sciogliere gli enigmi del potere. Timida e solitaria, è stata cresciuta dal padre, l’ex druido Ciarán, figlio della perfida strega Oonagh. Riemersa dalle ombre, la vecchia incantatrice non si fermerà davanti a nulla pur di distruggere tutto ciò per cui lotta la famiglia di Sevenwaters: neanche al sacrificio della sua stessa nipote.
Riuscirà Fainne a contrastare la sua malvagità e salvare coloro che ha imparato ad amare?