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Raybearer

Recensione della dilogia di Jordan Ifueko, pubblicata da Fazi.

Raybearer

Non meritiamo il fardello che i nostri genitori ci hanno imposto. Però non possiamo sconfiggere mostri che non affrontiamo.

Non ci saranno sventolii di draghi o stupidi folletti in questo fantasy (semicit.) e menomale aggiungerei! Il folklore classico del fantasy non ha stufato, ma ci sta andando molto vicino e io apprezzo sempre di più quei fantasy che si ispirano a culture diverse per la loro storia. Raybearer entra di diritto in questa categoria sia per il folklore Nord Africano, che per avermi conquistato immediatamente. Lo intendo in senso letterale: avevo finito di leggere il primo capitolo e la mia reazione è stata, scusate il francesismo, “che figata!”. Ma cerchiamo di spiegare perché è una figata questo libro e, al solito, andiamo con ordine.
L’autrice non perde tempo e, fin da subito, viene spiegato il fulcro della storia. Non ho mai trovato rivelazioni e plot twist così presto in un libro e, devo dire, che è stato perfetto: Jordan Ifueko gestisce al meglio la trama e come si dipana, senza mai essere scontata, anzi quando si arriva a delle svolte che pensavo di aver previsto, le mie aspettative sono state stravolte lasciandomi ogni volta sorpresa e sempre più intrigata. Non so se mi sono spiegata, ma senza fare spoiler è il meglio che riesco a fare! In ogni caso, l’attenzione alla trama è talmente alta che possiamo tranquillamente definire questo libro come plot-driven, ma non per questo i personaggi sono meno curati, che non è scontato. Tarisai ovviamente è la meglio caratterizzata, anche grazie all’espediente del racconto in prima persona, di solito non molto usato perché difficile da gestire, ma qui è stata la scelta migliore considerato il personaggio e la sua storia: i pensieri e le sensazioni di Tarisai sono fondamentali ai fini di quello che succede, inoltre leggere del suo conflitto interiore in prima persona aiuta tantissimo l’immedesimazione. L’altra difficoltà di questo tipo di narrazione è sicuramente la caratterizzazione degli altri personaggi che vengono visti solo e unicamente dal punto di vista della protagonista, ma l’autrice ovvia al problema introducendo fin da subito il potere di Tarisai: attraverso il contatto con altre persone, può percepire i loro ricordi, viverli come se fosse loro, mettersi nei loro panni a tutti gli effetti. Ed è anche così che conosciamo meglio Sanjeet, Kirah e Dayo. A questo proposito, avrei preferito un maggiore approfondimento del legame del Concilio: l’evoluzione non è descritta a causa di salti temporali e fin qui nessun problema, ma anche successivamente viene ripetuta più volte l’importanza del loro legame, di quanto siano affezionati ma si vede un po’ poco, lo si percepisce soltanto. Ho invece super apprezzato la storia d’amore: per niente scontata, niente insta love (non lo sopporto più questo trope!), anzi ben approfondita e coinvolgente.
Ma veniamo al world building. L’impero Arit è composto da 12 regni, da cui rimane esclusa la penisola di Songland, ma sono tutti paesi uniti a formare un unico continente, nonostante mantengano molte differenze nella cultura e tradizione. Per ognuno di questi si può trovare un corrispettivo con zone o paesi del mondo reale, sia dal nome che dalla descrizione delle usanze: Quetzala sembra far riferimento al Centro/Sud America, Biraslov alla Russia, la Storia, la cultura e la posizione geografica di Songland fanno pensare alla Cina, Oluwan, insieme agli altri tre regni centrali, ricorda l’Africa. Un elemento che ho particolarmente apprezzato è l’idea di mettere al centro, culturale e di potere, dell’Impero proprio questi ultimi quattro regni, un’interessante sovversione della triste realtà storica. Ci troviamo davanti, quindi, un world building molto curato e dettagliato, che scopriamo mano a mano che la storia prosegue, in maniera chiara e diretta. I temi trattati si fondono perfettamente con il mondo in cui è ambientata la storia. Non solo ma sono anche fondamentali per la trama e l’evoluzione dei personaggi: conformismo e uguaglianza, autodeterminazione e obbedienza, tematiche che si intrecciano fluidamente alla storia e al mondo creato da Jordan Ifueko.

Raybearer è stata una lettura scorrevole, intrigante e soprendente. La trama è al centro di tutto, ma non vengono trascurati per questo i personaggi e il world building: un perfetto intreccio, in cui un elemento si completa solo nell’altro. Questo libro rasenta la perfezione: tutto è estremamente curato e ben descritto, le tematiche affrontate si fondono fluidamente con il resto, la scrittura è scorrevole e i plot twist inaspettati e messi al punto giusto. Che altro? Leggetelo perché merita tantissimo!

Voto: 9/10

Raybearer

di Jordan Ifueko

Editore: Fazi – Collana: Lainya

Pagine: 474

Tarisai ha sempre desiderato il calore di una famiglia: è cresciuta in isolamento, nel selvaggio e lussureggiante regno di Swana. Sua madre, Lady, è una donna potente e temuta, che non le ha mai dimostrato affetto e che la spedisce nella Città di Oluwan, la capitale dell’impero arit, a competere con altri bambini per entrare a far parte del Concilio del principe Dayo, l’erede al trono. Undici di loro verranno selezionati per essere consacrati attraverso il potere del Raggio, che li legherà a vita al futuro imperatore impegnandoli a proteggerlo. Ma il destino di Tarisai è segnato da un crudele incantesimo di Lady, che vuole che la figlia uccida il principe, invece di amarlo e difenderlo. Tarisai è davvero obbligata a essere la pedina nei giochi politici di sua madre? In una capitale piena di intrighi e magia, la giovane dovrà decidere chi considerare davvero la sua famiglia e a chi, invece, voltare le spalle. Nulla conta più della lealtà. Ma cosa accade quando giuri di proteggere colui che sei nata per distruggere?

Redemptor

«Quello che penso io», disse con voce grave, «è che la tua vita non dovrebbe essere un mezzo per raggiungere uno scopo. Nessun essere umano dovrebbe essere ridotto a una funzione. Il giorno in cui lo faremo… sarà l’inizio della fine».

Come si può intuire, ho adorato Raybearer: i personaggi, il worldbuilding, la storia e i temi trattati, tutto praticamente perfetto. Le mie aspettative per questo secondo e ultimo libro della serie erano di conseguenza molto alte, forse troppo, e purtroppo sono state disattese. Redemptor ha tanti problemi, non è un brutto libro ma poteva essere migliore, non mi ha rovinato completamente la dilogia ma ha decisamente stemperato l’entusiasmo.
La storia riprende esattamente da dove era stata lasciata e, come per il primo libro, l’autrice non perde tempo in chiacchere e ci catapulta immediatamente nel racconto. Questo funziona quasi meglio nel seguito che in Raybearer: proprio perché c’è stato lo stacco tra i due libri, ritrovarsi subito immersi negli eventi coinvolge e crea la sensazione di tornare a “casa”. Lo stile della Ifueko resta lo stesso: scorrevole, evocativo, con il giusto equilibrio tra descrizioni, azioni e dialoghi, forse l’elemento che più fa divorare il romanzo, nonostante gli altri difetti. Infatti, la trama, superati i primi capitoli, non è poi così coinvolgente come poteva sembrare, e neanche lontanamente quanto quella del primo libro. I vari plot twist sono tutti piuttosto scontati, è sempre molto evidente cosa succederà (e io non capisco mai nulla prima che avvenga) ed è chiaro, per forza di cose, dove deve andare a parare perché ci viene detto nel cliffhanger di Raybearer. E quello specifico evento avviene nell’ultima parte del libro. In meno di 100 pagine. Praticamente aspettǝ quasi 400 pagine per qualcosa che sai succederà, la discesa nell’Inferno di Tarisai, (del resto lo dice lo stesso titolo del romanzo!) e poi, in quattro e quattrotto finisce tutto.
[…SPOILER…] Le poche pagine dedicate fanno anche sembrare fin troppo facile la prova in sé: tutti i Redentori passati erano dei poveri scemi? Muoiono in migliaia, se non di più, e lei con uno schiocco di dita ce la fa? D’accordo che è stata preparata da Ye Eun, ma se non sbaglio proprio quando la conosce viene mostrato come a Songland i pochi Redentori sopravvissuti cerchino di aiutare i futuri sacrifici a capire come uscire dall’Inferno, a rigor di logica dovrebbero esserci molti più sopravvissuti se bastasse un po’ di preparazione. […FINE SPOILER…]
La lettura non ne risulta appesantita grazie, appunto, allo stile di scrittura, ma l’attesa è snervante: a parte qualche veloce avvenimento, non succede molto, è principalmente Tarisai nel pieno di una crisi depressiva, totalmente giustificata e comprensibile, anzi l’autrice rende molto bene la realtà della malattia, ma riesce anche a rendere tutto molto ripetitivo perché non è una crisi interiore del personaggio ma è causata da delle creature tipo spiriti che la tormentano. Non solo, l’introspezione e la riflessione di Tarisai non cambiano mai nel corso di tutto il libro, reagisce sempre nello stesso identico modo ai tormenti, che insieme al fatto che pure quelli sono sempre gli stessi, acuisce la sensazione di ripetitività. Solo alla fine, quasi dal nulla, c’è la svolta e improvvisamente è tutto a posto. Ecco, questo può riassumere in pieno la gestione delle tematiche in questo libro: gestite molto bene all’inizio, ma poi, nel giro di poche righe, scadono totalmente in un modo o nell’altro. Infatti questo vale anche per le questioni legate alla lotta tra classi e alla messa in discussione del sistema imperiale: entrambe sono presentate in maniera piuttosto approfondita, senza semplificazioni, tranne quando ci si avvicina a qualche sorta di soluzione che risulta essere o molto, troppo, facile o totalmente escludente della maggioranza delle problematiche presentate fino a quel momento. A questo proposito, parliamo un attimo del finale, senza spoiler. Quell’ultima scena non risolve assolutamente nulla, anzi complica tantissimo le cose, è un’idea piena di falle e problemi, e in più risulta forzata e messa lì un po’ a caso, tipo l’epilogo dei 19 anni dopo di Harry Potter.
Anche i personaggi non sono gestiti al meglio. Tarisai risulta ripetitiva non solo nella sua introspezione, ma anche perché ad un certo punto sembra svanire nel nulla tutto il percorso che ha fatto nel primo libro. Con lei, anche molti degli altri Unti di Dayo sembrano bloccati nelle convinzioni che, teoricamente, erano state stravolte nei capitoli finali di Raybearer. Sanjeet e Dayo, invece, cambiano totalmente atteggiamento su certe questioni rispetto al primo libro, senza un reale motivo, se non come mezzo per mostrare quanto è sola Tarisai nella sua lotta (che poi a questo proposito si crea una gran confusione: sembra che nessuno la supporti in nulla perché non la capiscono ecc. e invece poi bastava che lei chiedesse loro aiuto, letteralmente. Sono ancora molto confusa a riguardo). L’altro grosso problema dei personaggi è che ne vengono introdotti troppi di nuovi, con già un cast piuttosto numeroso e soprattutto quando alcuni di quelli già presenti avrebbero avuto bisogno di maggior approfondimento. Lo stesso per le relazioni, in particolare quelle tra i membri del Concilio e quelle tra i nuovi Unti di Tarisai: tra i primi era una mancanza già del primo libro e si ripete in questo secondo anche per quanto riguarda i secondi che, infatti, sono stati trattati molto superficialmente. In questo modo viene anche sminuito il significato dietro al potere del Raggio: l’amore per legarsi al portatore del Raggio presentato così velocemente non sembra quasi neanche amore, in qualunque forma. Gestita molto meglio è invece la relazione tra Tarisai e Dayo, anche se non aggiunge nulla di nuovo: il focus è sempre sul loro amore platonico, su come il modo in cui si amano non compromette le altre rispettive relazioni.
Tornando un attimo alla questione del Raggio, non è solo la mancanza di approfondimento delle nuove relazioni che Tarisai instaura con i vari regnanti di Aritsar, ma anche il come effettivamente riesce a “convincerli” ad amarla che sminuisce e ridimensiona il potere, e un po’ lo banalizza anche.
[…SPOILER…] Per non parlare del buco di trama che sia crea con la scoperta del controllo che l’Imperatore potrebbe esercitare su i nobili, oppure dell’improvvisa scoperta del kuso-kuso, una pianta che praticamente annulla il mal di concilio, deus ex machina affinché l’autrice potesse fare quello che aveva in mente per la storia. […FINE SPOILER…]
Questo è l’unico problema del worldbuilding: una serie di retcon, come quelli appena citati, che però tolgono molto del significato e dell’importanza a determinati elementi presentatici nel primo libro. A parte questi cambiamenti, il worldbuilding resta sempre molto curato e dettagliato: scopriamo sempre di più delle diverse culture dell’Impero, le varie usanze e culti. Ogni tanto c’è un po’ di infodump, spiegazioni necessarie ai fini della storia ma che risultano evidentemente messe lì per quello, insomma poco amalgamate con il resto.
Dopo tutto questo sproloquio verrebbe da chiedersi perché ho dato la sufficienza. Principalmente perché non è stata una lettura pesante o noiosa, nonostante tutto, e poi perché è pur sempre il seguito di un libro che ha posto delle ottime basi e Redemptor non è così terribile da sradicarle e distruggerle. Rimanendo nella metafora, si può dire che nonostante la base solida, l’edificio è comunque traballante.

Difficile riassumere il mio parere su Redemptor perché come seguito e finale è stato un po’ una delusione, ma ha solo stemperato il mio entusiamo per questa dilogia, non l’ha spento completamente. Lo stile di scrittura dell’autrice rende la lettura scorrevole e piacevole, nonostante i vari altri difetti. La trama è poco intrigante, coinvolge grazie all’affezione per i personaggi (anche se un po’ stravolti), già creatasi in Raybearer. Il worldbuilding è sempre molto curato , dettagliato e originale. Insomma, un finale poco più che sufficiente per una serie iniziata, però, con il botto.

Voto: 6.5/10

Redemptor

di Jordan Ifueko

Editore: Fazi – Collana: Lainya

Pagine: 444

Tarisai ora siede sul trono dell’impero arit e, per la prima volta nella storia, si trova a dover coniugare il potere del Raggio con il ruolo del Redentore. Come da tradizione, l’imperatrice deve formare un concilio di undici persone legate a lei dal Raggio, ma non è facile trovare consiglieri fidati quando ogni giorno porta con sé una nuova minaccia. Inoltre il tempo stringe, perché soltanto quando la sua posizione sarà più salda Tarisai potrà prepararsi a discendere nel mondo degli Inferi e fermare una volta per tutte i terribili sacrifici richiesti dagli abiku. Determinata a portare a termine la sua missione, in un regno sempre più instabile, Tarisai si sente sola: i fratelli e le sorelle di concilio sono distanti, gli spiriti dei Redentori sacrificati in passato la tormentano chiedendo vendetta per i crimini commessi dall’impero, aumentano gli attentati alla sua vita e un attivista che si fa chiamare “il Coccodrillo” sobilla le classi sociali più basse. La giovane imperatrice è sottoposta a una pressione insopportabile e non sa più di chi fidarsi. Quale strada prenderà? Dovrà morire perché venga fatta giustizia? Ma, soprattutto, avrà qualcuno a cui chiedere aiuto nel momento del più estremo bisogno?